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Agenzia Regionale per lo Sviluppo Agricolo, Rurale e della Pesca

Banca del germoplasma della Regione Molise

Conservazione “In Situ”

Conservare la biodiversità vegetale significa perseguire un uso sostenibile della stessa, e le azioni strategiche di conservazione possono essere in situ, ex situ ed onfarm. La conservazione in situ si ha quando viene individuato un determinato areale, mettendo in rilievo i legami fra questo, una determinata specie e una precisa popolazione/eco tipi/vari età e gli usi ad essi legati.

Conservazione “Ex Situ”

La conservazione ex situ è realizzata mantenendo gli organismi viventi al di fuori del loro habitat naturale, come gli Orti Botanici, le Banche del Germoplasma (semi, pollini e colture di tessuti vegetali in vitro), le cosiddette genebank che assumono importanza soprattutto per la conservazione del germoplasma di interesse agricolo.

Conservazione “On Farm”

Il processo di conservazione on farm nel caso delle specie di interesse agrario in genere può identificarsi con la stessa attività agricola o con la coltivazione in areali simili a quelli di origine delle specie autoctone. Cosi si realizza un sistema di “conservazione aziendale” delle varietà autoctone attraverso la creazione di una rete di aziende custodi, presso le quali saranno riprodotte e mantenute le varietà locali da destinare anche alla commercializzazione.

Recupero Semi

Il recupero del germoplasma vegetale per la Banca del Germoplasma prevede, come prima attività, la raccolta del materiale genetico. Questa è una fase estremamente delicata e, pertanto, va pianificata e seguita con cura. Le attività di recupero prevedono diverse fasi. Dopo aver acquisito tutte le informazioni sull’ecotipo oggetto di recupero e sulla sua distribuzione in natura, si procede alla scelta delle aree di campionamento ponendo attenzione ai parametri ambientali (latitudine, altitudine, clima, habitat, etc.) e alla loro biodiversità.

Dopo l’analisi preliminare dell’areale, si procede alla scelta della metodologia di raccolta più idonea rispettando la variabilità genetica presente nel luogo di campionamento. La metodologia scelta, inoltre, relaziona l’ambiente alla Banca. Le popolazioni raccolte devono essere geneticamente distinte, non coltivate e auto disseminate. Ogni campione di semi raccolto dovrebbe essere espressione di un determinato habitat e possedere, quindi, la capacità di essere facilmente reintrodotto nel luogo di origine o in altri siti compatibili.

Teoricamente, questo scopo verrebbe generalmente raggiunto campionando un numero di individui non inferiore al 50% della popolazione presente ma, per assicurare che la popolazione naturale non venga danneggiata da una raccolta eccessiva, si tende a prelevare non più del 20% dei semi disponibili. In generale, le popolazioni di un determinato ambiente che presentano un’alta diversità sono geneticamente più eterogenee e, pertanto, devono essere campionate in maniera più ampia.

Al fine di individuare il momento giusto per la raccolta, può essere utile effettuare la rottura di qualche seme per osservarne le condizioni interne. La presenza di tessuti turgidi, sani e del colore tipico della specie, confermeranno la maturità del materiale e l’opportunità di proseguire l’operazione. Questa operazione è importante se si considera che la vitalità dei semi è strettamente legata alla loro qualità al momento della raccolta. Questa fase della raccolta dovrebbe essere effettuata il più vicino possibile alle condizioni ottimali, e cioè quando i semi sono maturi, ancora sulla pianta e quasi pronti alla naturale dispersione.

La quantità giusta di semi vitali da raccogliere dovrebbe essere tale da consentire di:

  • conservare a lungo termine nella Banca del Germoplasma un campione rappresentativo della popolazione;
  • avviare i test di germinazione e di vitalità ed effettuare per diversi anni il monitoraggio della vitalità;
  • destinare parte della collezione alla duplicazione della stessa e per la validazione dei protocolli di germinazione da altre Banche e/o Centri di Ricerca.

Il materiale genetico raccolto in campo e corredato delle relative schede di raccolta, sarà infine consegnato alla Banca per venire registrato, analizzato, selezionato e trattato, prima di entrare a far parte della collezione. Il germoplasma raccolto in campo deve essere conservato in contenitori traspiranti (sacchetti in cotone, tela o nylon) che devono essere etichettati sia all’interno che all’esterno e vanno chiusi con cura. Inoltre, per la spedizione delle accessioni bisognerebbe imballare i semi solo poco prima della spedizione, allegando tutti i dettagli inerenti l’accessione. Tutte queste operazioni sono state pianificate secondo il Manuale APAT, 37/2006, e quanto previsto dalla Banca del Royal Botanic Gardens di Kew.

Catalogazione

Per monitorare tutto il processo di raccolta e conservazione del campione nella Banca e per una successiva rielaborazione delle informazioni legate al campione, è necessaria la sua catalogazione. Pertanto la scheda di campo, specifica per la raccolta del germoplasma, deve essere compilata con molta cura ed utilizzata ogni qual volta si proceda ad un prelievo di materiale riferito ad una sola entità, in una sola stazione e in un’unica data. A questa scheda la banca attribuirà successivamente il codice di identificazione del lotto che diventerà il “numero di accessione”.

Quando si effettua la raccolta del materiale, pertanto, è fondamentale avere cura di indicare su etichette o cartellini i dati basilari per poter agevolare il riconoscimento del campione e limitare ogni dubbio di identificazione. Inoltre, il campione va sempre accompagnato da una lista riepilogativa del contenuto del collo, con l’indicazione di tutto il materiale raccolto e un recapito completo del raccoglitore in modo da poterlo facilmente rintracciare nel caso dovessero sorgere dubbi di qualsiasi natura sul materiale prodotto e nel caso sia richiesto un certificato fitosanitario. Sarà compito del curatore della banca controllare il contenuto degli involucri e verificarne la rispondenza con la documentazione allegata.

Il trasferimento di germoplasma vegetale può diffondere patologie o agenti patogeni. In considerazione di ciò, molti Paesi hanno elaborato una legislazione che regola l’ingresso e in alcuni casi anche il movimento interno delle piante.

Selezione

Una volta ultimate le verifiche sul materiale recapitato e sulla documentazione di accompagnamento prodotta, la Banca diventa responsabile della corretta gestione del medesimo, individuando i tempi e le modalità più idonee per la pulizia, conservazione e moltiplicazione del germoplasma. Del materiale consegnato i curatori della banca valutano l’opportunità di lavorare l’intero lotto o parte di esso, in considerazione delle priorità individuate dalla Banca, dell’importanza del materiale e della sua quantità. Dopo aver provveduto ai controlli fitosanitari necessari, l’ecotipo introdotto nella Banca del germoplasma deve essere registrato su un database.

Successivamente, si verifica la necessità di adottare eventuali precauzioni per la sua manipolazione indicandole nella scheda di pulizia e conservazione. Nella registrazione è di fondamentale importanza indicare:

  • il nome del taxon;
  • il numero di accessione del lotto;
  • la data di ingresso nella banca;
  • la qualità della pulizia dei semi o il tipo di trattamento cui sono stati sottoposti;
  • la provenienza del lotto, intesa come nome della stazione di raccolta e come codice/nome del raccoglitore o dell’Ente che ha fornito il materiale;
  • l’obbiettivo, oppure il progetto di riferimento per il quale è stata pianificata ed effettuata la raccolta.

Il numero dell’accessione può essere un codice alfanumerico. Prima che il materiale raccolto venga introdotto nei locali della Banca è opportuno rispettare un periodo di quarantena, durante il quale il germoplasma viene stoccato in un ambiente esterno ed isolato dalle strutture della Banca. Tale procedura permette di valutare lo stato fitosanitario del materiale raccolto. Dei semi raccolti, aventi i requisiti adeguati e che abbiano superato il periodo di quarantena, viene ripulito un piccolo quantitativo per essere testato, al fine di stimare la percentuale di germinabilità e la validità del materiale raccolto. I semi potranno continuare ad essere manipolati, se la percentuale di germinazione risulterà maggiore del 50%, escludendo i casi in cui: l’ecotipo presenti difficoltà di reperimento in quantitativi sufficienti, il popolamento sia a rischio d’estinzione oppure quando la naturale germinabilità della specie sia di per se molto bassa.

La qualità del germoplasma in entrata nella banca può essere in alternativa stimata sia attraverso osservazioni dirette (colore, dimensioni, presenza di parassiti), sia attraverso l’esecuzione di test di vitalità. Una volta superati i test in ingresso, dai semi vengono eliminate le impurità residue come polveri, residui resinosi, semi vuoti o abortivi, semi compromessi da insetti e/o intaccati e quindi non conservabili. Le operazioni necessarie a questa fase di lavorazione possono essere eseguite meccanicamente, manualmente o in entrambe le modalità. In molti casi l’uso di tecniche meccaniche provoca il danneggiamento del seme, esponendolo ad infezioni fungine e deterioramento dei tegumenti. L’intervento manuale, nonostante sia particolarmente dispendioso in termini di lavoro, quasi sempre si ritiene necessario per disarticolare i frutti o le infruttescenze.

Il lavoro può essere eseguito manualmente con l’impiego di utensili e/o strumenti di laboratorio (es.: pinze, pinzette, puntali, ecc.). Quando invece la dimensione dei semi è molto piccola l’intervento di macchinari non è in grado di separare i semi dalle piccolissime infiorescenze e si rende necessario l’impiego di strumenti ottici come stereoscopi e lenti d’ingrandimento. La lavorazione di modeste quantità di seme è normalmente eseguita con piccole macchine da laboratorio. Le più comuni attuano una selezione di tipo gravimetrico, sfruttando un flusso d’aria che separa le impurità dalle sementi e allo stesso tempo i semi vitali da quelli vuoti.

Queste operazioni, se non correttamente eseguite, possono portare ad un impoverimento genetico dell’accessione rispetto alla popolazione di provenienza, in quanto si potrebbe avere la perdita di tutti quei semi che, seppur vitali, hanno un peso non discriminabile rispetto al materiale di scarto. In alcuni casi, le tecniche automatizzate non sono in grado di svolgere perfettamente il lavoro, in quanto la ridottissima dimensione dei semi è simile alla dimensione delle polveri o dei tessuti finemente sminuzzati o ridotti in polvere. A tal fine si utilizza una batteria di setacci con diametro di intermaglia variabile da 1 cm a 0,1 mm, per favorire l’eliminazione selettiva di impurità. Nei casi più complessi i semi vengono separati manualmente con l’ausilio di pinzette e utensili da laboratorio.

L’impiego combinato di tecniche manuali e meccaniche riguarda quei casi in cui ad una prima pulizia manuale grossolana ne segue una meccanica e successivamente un’altra manuale di precisione e rifinitura. Infine, verificato il grado di purezza e lo stato di pulizia del materiale, i semi vengono contati e pesati, misurando il peso medio di un seme.

Disidratazione

Concluse le operazioni di pulizia e selezione, devono essere eseguite una serie di osservazioni sul germoplasma (tegumenti, endosperma, cotiledoni, embrione, ecc.) al microscopio per individuare anomalie o evidenziare caratteri peculiari dell’unità tassonomica analizzata. Viene inoltre determinato il contenuto di umidità dei semi, indispensabile per individuare i tempi e i modi della disidratazione per la successiva conservazione. Il tenore di umidità determina in larga misura l’intensità della respirazione del seme, influendo sulla velocità dei processi metabolici e, di conseguenza, sulla longevità dei semi. Prima della disidratazione, i semi dovrebbero essere sottoposti a diversi test qualitativi, quali la determinazione della capacità germinativa e della vitalità; vi sono, inoltre, altre prove che caratterizzano geneticamente il seme ed altri aspetti importanti della fisiologia non evidenziati dal saggio di germinazione.

La capacità germinativa rappresenta la percentuale di semi germinati (normali ed anormali). Rappresenta il parametro più usato per valutare un lotto di semi, ma non è sufficiente per esprimere altre componenti della qualità degli stessi. I saggi per determinare la vitalità forniscono una stima rapida della qualità del seme (indicano se il seme è “vivo” o no). La vitalità non deve essere confusa con la capacità germinativa, infatti, i semi vitali ma dormienti, non necessariamente germinano. Viene anche stimato il vigore dei semi che è definito come la somma totale di quelle proprietà che determinano il livello di attività ed il comportamento dei lotti durante la germinazione in una vasta gamma di ambienti. Il vigore non si può misurare attraverso un unico parametro perché è un concetto che comprende diversi aspetti del comportamento dei semi, tra cui la velocità e uniformità della germinazione e dello sviluppo delle plantule; la capacità di emergenza delle plantule in condizioni sfavorevoli; il comportamento in seguito alla conservazione (in particolare la capacità di mantenere la germinabilità iniziale). Semi vigorosi sono potenzialmente capaci di avere un comportamento ottimale in condizioni che non sono considerate ideali per la specie a cui appartiene il campione.

Dopo tutti i test di vitalità, i semi possono essere classificati in due categorie principali in base alla loro risposta alla disidratazione ed al loro comportamento durante la conservazione. Il primo gruppo, definito dei semi ortodossi, comprende quei semi la cui conservazione è sostanzialmente funzione del contenuto di umidità e della temperatura. Tale tipologia di semi può essere portata senza danni a bassi valori di umidità (anche a livelli molto inferiori rispetto a quelli raggiunti in condizioni naturali); la loro longevità aumenta con il diminuire della temperatura e del contenuto in umidità. Oggi i semi ortodossi sono anche chiamati “tolleranti alla disidratazione”. Appartengono a questo gruppo la maggior parte dei semi delle specie che vegetano alle nostre latitudini.

Il secondo gruppo, dei semi recalcitranti, chiamati anche “sensibili alla disidratazione”, comprende quei semi che non tollerano una disidratazione significativa rispetto al contenuto di umidità presente al momento della disseminazione (in genere variabile tra il 20 ed il 70%, ma più frequentemente tra 30 e 50%). Gli alti livelli di umidità, purtroppo, oltre a favorire una rapida germinazione, non tollerano temperature inferiori allo zero, in quanto i tessuti subirebbero danni determinati dal congelamento dell’acqua disponibile al loro interno. Per la conservazione di questa tipologia di semi si sta sviluppando una tecnica alternativa che prevede la crioconservazione in azoto liquido degli embrioni.

Il calo di umidità dei semi può essere raggiunto in vari modi, compresa l’esposizione all’aria in ambienti asciutti, ventilati ed ombreggiati. Le banche del germoplasma però si affidano generalmente alle camere di disidratazione. Il materiale destinato alla disidratazione viene stoccato in una camera che, mediante deumidificatori e condizionatori d’aria, garantisce valori di umidità relativa del 10-15% e temperature comprese tra 10 e 25°C, per evitare che i tegumenti seminali subiscano brusche fratture e/o raggrinzimenti. Questo trattamento ha una durata diversa in funzione delle caratteristiche dei semi e può variare da 30 a 180 giorni. È importante che i locali nei quali avviene la disidratazione permettano una buona circolazione d’aria. In queste condizioni i lotti vengono sottoposti a disidratazione all’interno di buste di carta, sacchetti di tessuto traspirante o vaschette e pesati regolarmente per monitorarne il calo di peso.

La disidratazione delle accessioni può essere raggiunta anche mediante l’utilizzo di dessiccanti artificiali quali il gel di silice che viene messo a contatto con i semi in contenitori ermetici. Verificato che il contenuto di umidità sia inferiore al 15% (con distinzioni tra semi aventi un alto contenuto in olii e semi a basso contenuto in olii), i semi sono considerati pronti per la conservazione a lungo termine.

Stoccaggio

I semi disidratati sono conservati a basse temperature, attraverso, generalmente, la congelazione a temperature inferiori ai -18°C. I semi tuttavia, possono anche essere conservati in strutture frigorifere a temperature generalmente comprese tra -5°C e 5°C. Al fine di garantire uno stoccaggio di lunga durata è importante controllare e monitorare l’umidità che rappresenta il parametro più delicato per la buona conservazione dei semi. Per evitare la reidratazione, uno stoccaggio a lungo termine non deve prevedere la necessità di una frequente manipolazione dei lotti di semi; per questo è necessario utilizzare dei contenitori perfettamente ermetici, ma anche trasparenti in modo tale da poter monitorare l’umidità presente al loro interno. Il controllo dell’umidità nel contenitore viene solitamente effettuato attraverso un indicatore (es.: gel di silice).

Per una conservazione sicura a lungo termine sono da preferire i flaconi in vetro trasparente con un indicatore di umidità all’interno che vira quando l’umidità relativa supera il 15%. Per i semi molto piccoli si raccomanda di riporli in sacchetti permeabili all’aria, in polietilene, collocati a loro volta in flaconi ermetici in modo da non disperdere i semi all’interno del contenitore di vetro. Nel tubo di vetro spesso si introduce anche un setto di sughero che confina il germoplasma in un volume ridotto, evitando il danneggiamento dovuto alla manipolazione durante le operazioni di chiusura e collocazione nella cella per la conservazione a lungo termine. All’interno del tubo viene inoltre posizionata una targhetta plastificata che indica i dati relativi all’accessione e la data di confezionamento. Ciò potrebbe essere realizzato anche attraverso un codice a barre adesivo da posizionare esternamente alla provetta. Altri metodi di chiusura ermetica prevedono l’impiego di flaconi in vetro (vials) con chiusura a pressione (guarnizione in gomma e guaina in alluminio) o a vite. Molto utilizzati sono anche i barattoli in vetro con chiusura a pressione e guarnizione in gomma. La non perfetta chiusura ermetica dei contenitori può essere ovviata effettuando il test di tenuta prima dello stoccaggio e, ad ulteriore garanzia, utilizzando il sistema del doppio contenitore.

I semi vengono inseriti all’interno di vials (di volume variabile, a seconda della quantità e della taglia dei semi, da 10 a 50 ml) chiuse ermeticamente a pressione con una guarnizione in gomma e guaina in alluminio. Le vials a loro volta vengono posizionate all’interno di barattoli in vetro più grandi chiusi a pressione. All’interno del barattolo può essere inserito, inoltre, un indicatore che rileva l’eventuale variazione di umidità. Le operazioni di chiusura devono essere eseguite all’interno della camera di disidratazione, dove è necessario conservare i vari contenitori (completi di guaine e guarnizioni), nonché l’indicatore di umidità, in modo che tutto sia in equilibrio con i parametri di temperatura e umidità ottimali per la conservazione a lungo termine.

Conservazione Semi

Dopo aver confezionato ermeticamente i lotti di semi, questi possono essere stoccati per garantire una loro conservazione con una vitalità stimata in diverse decine di anni. Tutto ciò riguarda semi che consentono la deidratazione (semi ortodossi), mentre non c’è ancora la possibilità di conservare a lungo termine, in maniera sicura e garantita, i semi sensibili alla disidratazione (semi recalcitranti). La congelazione secondo gli standard dell’International Plant Genetic Resources Institute a temperatura di stoccaggio di -18°C o inferiore è un metodo efficace per prolungare la vitalità dei semi che devono essere conservati a lungo periodo. Ciò nonostante, va considerato che anche a tali temperature i processi enzimatici all’interno del seme non vengono completamente arrestati e conseguentemente una degradazione dello stesso, seppure lenta, risulta inevitabile. Al fine di evitare danni da congelamento dell’acqua disponibile all’interno dei tessuti, per i semi voluminosi è necessario attendere diversi mesi prima di ottenere il livello ottimale di umidità che consenta la successiva tappa di congelazione. La congelazione viene attuata attraverso normali strutture frigorifere di tipo commerciale o grazie all’ausilio di celle frigorifere appositamente realizzate.

La conservazione a lungo termine dei semi è stata favorita dall’applicazione di tecniche di crioconservazione, ossia lo stoccaggio del germoplasma alla temperatura dell’azoto liquido (-196°C). A queste condizioni i processi metabolici del seme, ed in particolare quelli enzimatici, si arrestano fondamentalmente a causa della mancanza di acqua allo stato liquido. In questo modo la vitalità del germoplasma può essere preservata per un periodo potenzialmente infinito. L’efficacia di questa tecnica, dimostrata in prove di laboratorio su numerose specie, ha portato diversi ricercatori a considerare la crioconservazione come l’unica tecnica attualmente disponibile in grado di assicurare una reale conservazione a lungo termine e affidabile in ogni situazione. Tale tecnica è indicata nel caso di alcuni semi recalcitranti, di specie che si propagano vegetativamente, di specie rare, minacciate o in pericolo di estinzione, così come di prodotti biotecnologici di alto livello come quelli costituiti dalle linee cellulari di estrazione farmacologica, cloni selezionati o materiale geneticamente modificato.

Definizioni

La convenzione sulla Diversità Biologica che la Comunità Europea ha ratificato il 21 dicembre 1993 definisce la biodiversità come “la variabilità degli organismi viventi da qualsiasi fonte, inclusi, tra l’altro, gli ecosistemi terrestri, marini, e gli altri ecosistemi acquatici e i complessi ecologici dei quali fanno parte; essa comprende la diversità all’interno di ogni specie, tra le specie e degli ecosistemi”. La biodiversità in genere è considerata di tre livelli: diversità genetica che si riferisce a tutte le informazioni genetiche contenute in tutti gli individui viventi, diversità fra specie rappresentata dalla varietà delle specie viventi, diversità degli ecosistemi rappresentata dalla varietà dei biotipi, delle biocenosi e dei processi biologici ed ecologici che li caratterizzano.

Tutela

La Convenzione di Ramsar del 1971 può essere considerata il primo atto in cui si è trattato dell’importanza e della tutela della biodiversità. Secondo diversi autori, la biodiversità rappresenta una risorsa centrale per uno sviluppo agricolo e forestale sostenibile nel lungo periodo, garantendo sicurezza alimentare e stabilità ambientale.

Secondo la Commissione Europea, quest’ultimo aspetto risulta essenziale per la conservazione della vita sulla terra perché assume valore a livello sociale, economico, scientifico, educativo e culturale, permettendo agli esseri viventi di adattarsi e resistere anche ai cambiamenti climatici in corso. Purtroppo, però, ciò non è preso nella dovuta considerazione. Infatti, dalla “valutazione delle biodiversità globali” del Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite risulta che oltre il 20% delle specie appartenenti ai lepidotteri, agli uccelli ed ai mammiferi sono estinte a livello nazionale.

Anche in Europa, l’elevata diversità biologica sta diminuendo drasticamente a causa dell’impatto delle attività umane, quali sfruttamento intensivo del suolo, urbanizzazione, infrastrutture, turismo di massa, inquinamento idrico ed atmosferico. In Italia, che è uno dei paesi europei più ricchi di specie vegetali (circa 5800), fino a 30-40 anni fa le varietà locali rappresentavano la base produttiva dell’agricoltura. Da allora il diffondersi di una agricoltura più intensiva e l’avvio di vasti programmi di miglioramento genetico, hanno portato all’affermazione di poche varietà geneticamente uniformi che hanno sostituito poco a poco le vecchie varietà.

Stime indicano che oltre l’80% delle varietà una volta presenti in Italia è andato perduto; con esse è scomparsa la variabilità genetica che determinava le differenze esistenti fra ed entro queste varietà coltivate. Questo fenomeno prende il nome di “erosione genetica” a cui è associata una erosione del patrimonio culturale. Perdere variabilità genetica equivale a dire perdere per sempre una risorsa non rinnovabile. Tutto questo si può ripercuotere negativamente compromettendo la possibilità di migliorare le piante per la resistenza a nuove avversità abiotiche e biotiche che possono sorgere in futuro. Le vecchie varietà non sono solo fonti di geni utili, ma il loro impiego in zone marginali può costituire un importante sostegno al reddito delle popolazioni residenti. Infatti, la loro coltivazione potrebbe rappresentare un’interessante opportunità economica e una valida conservazione delle risorse genetiche in un determinato areale. Anche l’agricoltura biologica può svolgere un ruolo di tutela della biodiversità visto che è basata sulla diversificazione colturale, ed è praticata in aziende di piccole dimensioni con particolari tecniche agronomiche o in aziende inserite in aree naturali protette.

Minacce

La biodiversità è seriamente minacciata, essendo molte specie di animali e di piante ridotte a pochissimi esemplari e quindi in pericolo o addirittura in via di estinzione. L’estinzione è un processo naturale che, a causa delle attività umane, sta avvenendo molto più rapidamente che in passato. Sebbene sia difficile valutare la velocità con cui avviene questo processo, si stima che il tasso attuale di estinzione è 100-1000 volte superiore a quello precedente la comparsa dell’uomo.

La biodiversità può essere perduta o seriamente compromessa per la:

  • Degradazione e distruzione dell’habitat: Una delle principali minacce per la sopravvivenza di molte specie è l’alterazione, la perdita e la frammentazione dei loro habitat causata dai profondi cambiamenti del territorio condotti ad opera dell’uomo. I maggiori cambiamenti dell’uso del suolo hanno riguardato l’aumento delle superfici per l’agricoltura e per l’allevamento, lo sviluppo delle aree urbane e commerciali, il massiccio disboscamento, l’ampliamento delle reti stradali, ecc. Inoltre, la costruzione di barriere (quali strade, ferrovie, città, ecc.) impediscono il libero e naturale movimento di specie all’interno del territorio compromettendo o danneggiando definitivamente gli habitat originari.

  • Introduzione di specie alloctone: Le specie non solo si sono evolute nel corso di milioni di anni, ma si sono coevolute, ovvero si sono adattate reciprocamente in maniera da coesistere all’interno di determinati territori caratterizzati da specifiche condizioni fisiche, chimiche, climatiche, vegetazionali. L’introduzione in un territorio di specie alloctone, cioè di specie che sono originarie di altre aree geografiche e che, quindi, non si sono adattate, attraverso il processo di selezione naturale, all’ambiente nel quale vengono immesse, rappresenta un pericolo.

  • Introduzione di organismi geneticamente modificati (OGM): Anche l’introduzione in un territorio di un organismo geneticamente modificato (OGM) o transgenico può causare la perdita della biodiversità. Un OGM è un organismo nel cui corredo cromosomico è stato introdotto, tramite le tecniche dell’ingegneria genetica, un gene estraneo prelevato da un organismo donatore appartenente a diversa specie vivente. Per tale via si conferisce all’organismo la caratteristica desiderata, come ad esempio nel caso dei vegetali, la resistenza agli erbicidi o a determinati insetti nocivi.

  • Inquinamento: Le attività umane hanno alterato profondamente i cicli biogeochimici fondamentali al funzionamento globale dell’ecosistema. Fonti d’inquinamento sono, oltre alle industrie e gli scarichi civili, anche, e in misura minore, le attività agricole che impiegando insetticidi, pesticidi e diserbanti alterano profondamente i suoli.